mercoledì 30 marzo 2011

SESTO CAPITOLO

Non ho sentito dolore. Niente! Ho solo visto la lama che si avvicinava al mio costato e poi il buio ci ha avvolti. Dal tramonto del ventunesimo secolo a quello più cupo e tetro del mio tempo. Urla e grida popolano le strade di una Toledo libera da marchingegni moderni. Non me la ricordavo più! Osservo la taverna del Vino Tinto e gli uomini di bassa stirpe che barcollano davanti la sua entrata. Luogo di malaffare e di incontri femminili che per pochi danari donano un fuggevole piacere. Sento sospirare al mio fianco e mi volto di scatto. Lorenzo si asciuga la fronte e presenta una faccia bianca come un cencio appena lavato nelle acque del Tago. Impaurito e sollevato al tempo stesso. Il nostro disegno si è realizzato! Sorrido nel rendermi conto di quanto sia fuori luogo con quei jeans rattoppati e la camicia bianca, leggermente aperta sul petto.
“Dobbiamo trovare degli abiti più consoni a questa nuova situazione”.
Fa cenno di si con la testa e inizia a guardarsi intorno. Lo prendo per mano e le conduco per le strade debolmente illuminate da torce la cui fiamma danza a seconda del movimento del vento. Fa caldo e l’odore che arriva dalle latrine ai lati del fiume non è molto piacevole. Faccio una smorfia per allentare la tensione e lui cerca di sorridere, ma è visibilmente teso. Un bambino scalzo e vestito di cenci sporchi ci guarda incuriosito. Poi corre verso il padre, intento a parlare con un altro uomo, e gli strattona la povera giacca piena di toppe.
“Padre, padre, guardate com’è vestito quel cavaliere laggiù!”
Stringo la mano di Lorenzo e lo obbligo a seguirmi. Il mio passo è sostenuto e lui sembra seguirmi impaurito
“Presto! Raggiungiamo il mio castello o finiremo nei guai. Nella situazione in cui mi trovo non posso permettermi di attirare ulteriormente l’attenzione altrui”.
Mi segue in silenzio. Prima arriviamo a destinazione meglio è anche per lui.

La parola diversità non rende giustizia a questa realtà dove sono stato catapultato da una magia antica forse quanto l'uomo. Un mondo nuovo, seppur antico mi si presenta davanti agli occhi. Amaranta sta bene; non sembra aver sofferto quando le ho trafitto il cuore con quella lama mistica, e di questo ne sono sollevato. Se le avessi fatto del male, se qualcosa fosse andato storto durante il rito non me lo sarei mai perdonato. Invece tutto è andato come abbiamo sperato e ad accogliermi questa volta è una Toledo nuova, diversi sono gli odori le voci e le vie di una città che al contrario ho abbandonato da poco. Tutto ciò è assurdo, ma non ho tempo di fermarmi a riflettere sull'incredibile fenomeno del quale sono protagonista. Come Amaranta stessa mi ricorda, e come mi fa intendere quel bambino che mi indica, quel posto nuovo e antico può essere pericoloso per me, figlio dell'era moderna e tecnologica. Seguo Amaranta afferrando la sua mano, e non è solo paura quella che mi domina ma è anche curiosità verso tutto ciò che mi circonda.
Sono nella Storia, non quella che si legge nelle riviste e nei libri di scuola; nella Storia vera, in un tempo che non m'appartiene ma che sento mi ha accolto già come fossi un suo abitante. Questa idea mi elettrizza, ma quando scorgo da lontano degli uomini che avanzano nella nostra direzione vestiti di abiti che ho potuto vedere solo in qualche film, il mio istinto mi suggerisce di nascondermi e attiro in questo modo a me Amaranta. Ci rifugiamo in quello che sembra uno stretto vicolo senza sbocco tra due vecchie case. E solo in quell'istante, così vicino a quella ragazza che mi ha completamente stravolto l'esistenza, avverto il profumo e la pelle di Amaranta che non è più solo uno spirito incorporeo, ma una presenza reale e tangibile. Sussulto di fronte a quest'immagine e mi rendo conto di quanto sia effettivamente bella. Lei sembra guardarmi disorientata. Forse non può capire quanto questa situazione sia inconcepibile per uno come me, che ha relegato tutte quelle fantasie solo ai suoi scritti ritenendole impossibili. Invece la realtà mi ha smentito...
Imbarazzato e confuso lancio un'occhiata alla strada che sembra ora libera. Non sarei stato in grado di dare una spiegazione logica della mia presenza in quella città a nessuno. Senza lasciare la mano di Amaranta torno a camminare chiedendole dove si trovi il suo castello. “E' ora di tirar fuori il coraggio, Lorenzo” mi ripeto.
Nel mio tempo sono uno pseudo scrittore ancora sconosciuto, un sognatore, un illuso. Ma in questa nuova realtà mi appresto a divenire qualcosa che non avrei mai immaginato. Se tornerò o no ai miei giorni non è cosa della quale mi devo preoccupare ora. Amaranta e la sua vita hanno la precedenza.
Scorgo da lontano le mura imponenti di un castello. Non posso credere a quello che vedo...
Quella non è la mia fantasia, non è un sogno, né tanto meno un film. E lo dimostra l'aria che ora circola nei miei polmoni la quale lo sento, così leggera e frizzantina, mi sta rendendo già diverso. Il mio stesso sangue reclama da tempo questa nuova vita. Come fosse stato già tutto scritto....

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